Che dire: ci sono quelle volte in cui fai una trasferta da casa tua fino al luogo del concerto, macinando chilometri all'andata e al ritorno perchè l'indomani ti devi alzare presto e devi andare al lavoro. Dormi tre ore scarse, ma sei rientrato tardi dal viaggio con un sorriso sulle labbra, conscio di aver assistito ad uno dei migliori concerti della tua vita.
Se qualcuno, venti anni fa, mi avesse predetto che un giorno sarei riuscito a vedere gli Armored Saint dal vivo, vivendo in un'isola così lontana dalle locations in cui andavano a suonare tutti i tuoi gruppi preferiti, lo avrei preso sicuramente per un pazzo! Eccomi qui, invece, davanti a John Bush e a Jeff Duncan, in prima fila proprio davanti ai Saint. In dieci anni ho recuperato tutta una vita di concerti persi e ancora mi sto dando da fare per colmare una lacuna che mi porto dietro da sempre. Ma un colpo come questo lo ricorderò per molto tempo...
Legend Club, Milano. Hanno rifatto i bagni e soprattutto il palco dall'ultima volta che sono stato qui, precisamente ad un live degli Helmet. Lo stage ora è piuttosto largo, anche se potevano farlo ancora un po' più alto. Il caldo però è insopportabile, tanto che le pareti trasudano umidità e sono fradice. Poco male! Vedere John Bush in azione è qualcosa di unico, alla faccia della location bollente e di tutti i chilometri macinati in una sola notte.

Dopo i primi tre pezzi di apertura, Bush ci introduce verso l'esecuzione completa del loro quarto lavoro "Symbol of salvation", grande album, con tutti i suoi tredici pezzi. Soltanto il trittico "Reign of fire", "Dropping like flies" e "Last train home" vale il prezzo del biglietto. Buon power metal americano, portato al suo massimo livello. Tanti, troppi momenti dello show da ricordare, come l'esecuzione di "The truth always hurts" o "Another day", quest'ultima dedicata alla memoria dello sfortunato chitarrista David Prichard. Bush non si risparmia nemmeno quando, durante l'esecuzione della title track, scende in mezzo alla folla del Legend e conclude la canzone in mezzo a loro. L'ex Anthrax è sempre in vena di scherzare con il pubblico; non è solo un eccelso cantante, ma anche un grandissimo frontman.
Conclusa l'esecuzione di "Symbol..." la band fa a meno di uscire dal palco e conclude lo show con tre grandi pezzi: "Win hands down", "Can U deliver" e la trascinante "Mad House". Sono quasi due ore, ma è un delirio. La folla è entusiasta, conscia di aver assistito ad un grande concerto. I Saint salutano il pubblico del loro primo show a Milano, dopo tantissimi anni di carriera con alti e bassi, pause e numerose vicissitudini. Non rimane che ritornare a casa, pregando magari di rivedere ancora una volta una delle band più sottovalutate e sfortunate (dal punto di vista commerciale. nda) del pianeta.
Setlist
March of the Saint
Long Before I Die
Chemical Euphoria
Symbol of Salvation
Reign of Fire
Dropping Like Flies
Last Train Home
Tribal Dance
The Truth Always Hurts
Half Drawn Bridge
Another Day
Symbol of Salvation
Hanging Judge
Warzone
Burning Question
Tainted Past
Spineless
Win Hands Down
Can U Deliver
Mad House
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