8 ottobre 2019

G.Ciotta - "In Catene - I giorni di Layne Staley e gli Alice in Chains" (Chinaski ed. 2019)

Mai un libro è stato così tanto atteso! Mai ho così sperato in una biografia riguardante uno dei miei miti di gioventù, colui che ho sempre definito uno dei più grandi cantanti di tutti i tempi. Layne Staley, ovvero la voce degli Alice in Chains. Dopo Kurt Cobain, il cui successo mediatico e soprattutto la sua morte sono stati il canto del cigno definitivo per la scena di Seattle, Layne è stato l'autore che più ha personificato quel genere di musica, andando anche a scostarsi da quei canoni che ne hanno definito i parametri. Non me ne vogliano i fan di Cobain, di Vedder e di Cornell, di Mark Lanegan e di tutte quelle grandi voci che hanno contribuito a dare nuova linfa al rock, ma la presenza di Staley è stata fondamentale, rispetto alla loro, in un contesto vocale e di nuove sonorità. Nessuno come il cantante degli Alice in Chians è riuscito a personificare la scena di Seattle, denominata impropriamente come "grunge", per poi sparire nel momento di massima popolarità in un processo irreversibile di autodistruzione (in)volontaria.
La storia di Layne è la storia di uno dei gruppi più grandi del rock, ma anche l'epopea triste di un genere nato e subito morto, di una città che ha partorito diversi talenti che ancora oggi vivono grazie alla propria fama che, salvo eccezioni, non ha saputo gestire ne salvarsi dal corso inesorabile del tempo. Solo alcuni di questi sono sopravvissuti: chi trovando una nuova strada e rinascendo dalle proprie ceneri (Alice in Chains), chi portando avanti la copia sbiadita di se stessa (Pearl Jam e Mudhoney), con alterne fortune.
I Nirvana non esistono più. Nemmeno i Soundgarden, gli Screaming Treees, i Mother Love Bone o i Temple of the Dog. Che dire dei Mad Season, dei My Sister's Machine (esistono ancora?), dei Gruntruck (alla ricerca di una seconda occasione...) ? Tanti gruppi sono stati accostati alla scena di Seattle, vuoi per provenienza, vuoi per sonorità, ma solo pochi hanno veramente rappresentato la sua essenza, la sua ascesa ed il suo declino.

Tornando al libro, scritto da un fan italiano degli AIC di vecchia data, non ho potuto che apprezzarlo. Il fan riesce a trasformarsi in un giornalista, narrandoci le sue sensazioni nel corso di tutti questi anni ogni qual volta i Chains davano alla luce un nuovo capolavoro e allo stesso tempo descrivendo, tramite testimonianze prese da libri e media vari, oltre da musicisti dell'epoca (anche italiani) e di chi ha vissuto in prima persona la scena di Seattle, la storia di uno dei miti più indiscussi di quegli anni. Se da una parte l'ascesa dei Chains è stata fondamentale per il genere stesso, fungendo da apripista a quella che sarà una vera rivoluzione rock mondiale, dall'altra si racconta il declino di uno dei suoi stessi fondatori, a causa della popolarità e dei suoi eccessi fuori controllo.
Layne Staley viene subito descritto come una persona positiva, gentile verso tutti ma allo stesso tempo fragile. Un professionista che non è riuscito a mantenere il controllo della sua vita e l'ha distrutta pezzo dopo pezzo, pur essendo circondato dai suoi affetti familiari e da tanti amici che non sono riusciti a fermare la sua caduta. La droga è entrata troppo presto nella vita di Layne e da lì non ne è più uscita, andando a minare il suo fisico, la sua mente e la sua voglia di reagire. Staley proverà tantissime volte a disintossicarsi, ma ricadrà sempre nel vizio proprio quando le pressioni su di lui andranno sempre a soffocarlo, ogni qual volta la sua arte viene messa in discussione, stritolata dal music business e dalle tante aspettative nei suoi confronti. La carriera degli AIC, nel corso del tempo, è stata minata proprio a causa dei suoi eccessi, nonostante neanche gli altri membri della band siano stati proprio così puliti.
I racconti del libro si susseguono in una spirale discendente; hanno la capacità di introdurci dentro la musica degli Alice in Chains, non soltanto dunque nelle vicissitudini personali dei Nostri. Molto sviluppata la fase di creazione di ogni album, riguardo ai testi presenti e alle musiche, commentate molto professionalmente dall'autore, talvolta imparziale, talvolta come un fan esagerato davanti a una succosa caramella offertagli dal suo gruppo preferito.
Più si va avanti nella lettura, più la storia incute tristezza, visto il modo con cui Staley decreta la sua fine, isolandosi volontariamente dal mondo dentro un appartamento con droghe, videogiochi e la sua gattina. L'amore della sua vita, complice anch'essa dei suoi eccessi, è già stato portato via. Sembra quasi che non ci sia mai stata una possibilità di redenzione personale per quest'uomo! Ogni tanto le sue riapparizioni in pubblico ci hanno dato una qualche speranza, subito vanificata, come ad esempio la sua partecipazione al MTV Unplugged, uno dei concerti più belli mai registrati in VHS e su CD. Ma erano solo dei momenti dentro un mare di disperazione. Fino alla fine, quando dopo diversi giorni venne rinvenuto il suo cadavere davanti alla televisione, ancora con la siringa nel braccio.
Una lettura appassionante, non soltanto per i fan della band. La storia di Staley è una di quelle che non dimentichi, soprattutto grazie al suo contributo nella scena rock, alla usa voce così tipica e inconfondibile, unica. Rimane il suo ricordo, la sua musica che ancor oggi, con un successo finalmente ritrovato, gli Alice in Chains portano ovunque nei loro tour. Un gruppo rinato, che al tempo stesso canta la leggenda del loro vecchio amico, cantante di una band inimitabile.

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